Moon - Duncan Jones

Moon - Duncan Jones - 2009 - 97'

Dopo Hal c'è Gerty. E se Hal era rosso di pazzia, Gerty ora è blu di comprensione e amicizia. Parla, ma soprattutto comunica con gli smile. Il clone, i cloni, moriranno lo stesso al termine della loro scadenza, ma sembra un lieto fine. Forse è davvero un lieto fine.
Duncan Jones è il figlio di David Bowie. Così l'ho detto e possiamo pensare ad altro. Tra l'altro è brutto almeno tanto quanto è bello il padre.


Il film scopre subito uno dei temi portanti, e lo fa in parte con le immagini, in parte con un breve spiegone; tutto questo ci porta subito al conflitto tra un'umanità carica di energia grazie alla multinazionale dal volto umano e il proletariato spaziale al lavoro sulla centrale lunare. La prima rappresentazione del protagonista è di un uomo solitario alla deriva, che si riprende e si dà una ripulita solo perché convinto di tornare sulla terra. L'idea di non far vedere più l'astronauta, ma il lavoratore spaziale l'ho trovata semplice e geniale. E tutto il film è così, pacificamente forte, inchiodato a sentimenti che più terreni non si potrebbe. Rockwell è così privo di carisma naturale e così mimetico da essere il clone perfetto. La multinazionale dal volto umano, che porta l'energia all'umanità, prima ancora che clonarti, ti fa fare in ogni caso un lavoro di merda. Poi ti clona, ti uccide, manda dei sicari a finirti, ti impedisce di comunicare con chiunque non sia sulla centrale lunare, fa di tua moglie l'inconsapevole amante di innumerevoli te stesso, e non è bello essere gelosi, esserlo di te stesso può portare a delle ansie particolari. 
La visione del futuro di Duncan Jones non è ipertrofica e muscolare; si approfitta di Hollywood ma congela tutto in un ritmo lento, nel quale i colpi di scena si inseriscono senza forzare le emozioni dello spettatore. Si ha la sensazione di una fantascienza industriale, da periferia inglese. E in un certo senso il lato oscuro della luna sembra la discarica di Londra, con la macchina che sputa trinciato di rifiuto spaziale. 


I riferimenti cinematografici si sprecano, e c'è praticamente tutta la fantascienza al cinema che conta. C'è 2001 Odissea nello spazio, c'è Solaris (e già sul rapporto tra i due è stato detto di tutto, essere riusciti ad approfittarsi di entrambi i film è un risultato notevole), c'è Blade Runner, un po' forzatamente per la verità, c'è Alien, e chissà cos'altro. L'intero bagaglio culturale cinematografico non si esaurisce però nel divertissement, ma viene piegato, col ritmo dolce e costante del film, alle esigenze della regia. Hal - Gerty è un'idea paracula al limite della genialità. Il vintage delle scenografie, col suo fascino low profile, fa pensare davvero a un'esistenza sospesa per tre anni, così come è lungo il tempo di vita di uno dei cloni Sam. Allo stesso modo, la ricerca del realismo degli spazi, anche esterni, e dei tempi, è esemplare. I rinculi della macchina esploratrice sul suolo lunare rendono molto bene l'idea di un lavoro devastante. 


Il rapporto tra i cloni (tendenzialmente due, ma il terzo, pur senza praticamente mai comparire, ha un ruolo molto forte), non raggiunge Tarkovskij, né Bergman, tanto per dire, ma non è neppure così superficiale e riesce a raccontare qualcosa di non banale sulla fratellanza lontano dagli schemi eroici e/o lacrimevoli di Hollywood. Altrettanto riesce a fare sul rapporto con sé stessi, con le proprie varie personalità, e le proprie età.
Di recensioni su internet ce ne sono diverse; anche in Italia, nonostante la distribuzione l'abbia sottovalutato, il film è andato bene, soprattutto nel mercato dell'home video. In questa c'è una sorta di breve intervista a Duncan Jones. Questa è presa dal sito de Gli spietati.
Ancora una foto.


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