Il buio


C'era una volta un piccolo paese, e da qualche parte c'è ancora, dove tutti andavano in vacanza. D'estate era bellissimo: il mare era di un colore tra il blu e il verde, dentro l'acqua si potevano vedere dei piccoli pesciolini argentati e il sole scaldava senza scottare.
Ogni anno, nei mesi tra giugno e settembre si riempiva di persone e di gelati che colavano sui menti e sulle scarpe. Sempre, però, appena le giornate cominciavano a diventare più corte, intorno alla metà di settembre tutti andavano via e tornavano nelle città a lavorare, nelle scuole a imparare cose nuove e nei cortili a giocare di corsa per non avere freddo. Le gelaterie chiudevano per i mesi invernali e ne restava aperta solo una, quella dei genitori di Michele, il bambino che viveva sempre al mare.
I genitori di Michele avevano scelto di vivere lì e di non andare nella città perché la natura era più bella, anche in autunno e in inverno si poteva ascoltare il mare fare su e giù trasportando i pesci che i turisti avrebbero visto in estate. Non era una brutta vita nel piccolo paese, neppure d'inverno, ma Michele non si abituava a veder sparire tutti gli anni gli amici che aveva conosciuto. E qualcuno di questi non tornava l'estate seguente, alla ricerca di un altro piccolo paese. Passavano gli anni e ogni volta, appena il sole tramontava prima, gli amici partivano. Michele cominciò ad odiare la notte, le stelle gli sembravano lontanissime e inutili, la luna non era altro che una pallida imitazione del sole, a volte nemmeno tutta intera. Il sole invece brillava sempre rotondo come un cocomero appena tagliato a metà.
Michele odiava la notte e la notte cominciò ad odiare Michele. Senza preavviso cominciò a sognare di cani rossi che uscivano dai calzini sporchi, di scimmie dispettose che facevano la pipì sui suoi castelli di sabbia.
Una notte sognò di giocare a calcio con i suoi amici, di perdere il pallone e di essere trasformato in pallone lui stesso. Gli amici non lo riconoscevano più, lo cercavano, ma poi, stanchi di cercare chi non si trova, smettevano di pensare a lui e ricominciavano a giocare. I calci però adesso erano diretti a lui. E quella notte, trasformato da pallone, ne prese tantissimi. Urlava, piangeva, li pregava di smettere, ma nessuno dei suoi amici lo vedeva, né lo sentiva. Si svegliò impaurito, la notte fuori dalla finestra era spessa come un mattone, come abitare in una casa senza luce. Il cuore gli batteva forte e sentiva i piedi muoversi in cerca di qualche posto dove andare ma capaci solo di stropicciare le lenzuola e rendere il letto scomodo.
Stava per alzarsi e correre nel letto dei genitori, quando una voce lo chiamò per nome: una voce stridula come un coltello che stride sul piatto, una voce più acuta di quella di chiunque avesse mai sentito, adulto o bambino. Pensò di correre ancora più veloce, ma la voce prese la forma di qualcosa che somigliava a un piccolissimo vecchietto. Il vecchietto si parò davanti a Michele e si presentò: “Non correre via, non voglio farti del male. Mi chiamo Notturno, sono lo spirito della notte.”
Michele urlò e corse via velocissimo senza nemmeno accorgersi di stare piangendo.
I genitori lo consolarono e gli dissero che anche il vecchietto Notturno era stato solo un brutto sogno. Michele, stretto tra il padre e la madre, si addormentò, con gli occhi ormai asciutti dalle lacrime e la mattina seguente una colazione più gustosa del solito gli fece dimenticare Notturno e l'incubo che l'aveva fatto svegliare.
Quando fu ora di tornare a dormire però, Notturno gli tornò in mente e dovette fare un piccolo sforzo per credere che si trattasse di un incubo e non di una persona in carne ed ossa, anche se molto strana.
Quella notte gli incubi tornarono a visitarlo. Un pesce enorme e dalle squame argentate lo inghiottì per sbaglio, credendolo un'alga. Nella pancia del pesce, tutto era buio come nella più buia delle notti. Michele era solo e poteva solo sentire sulla pelle i piccoli pesci e le alghe mangiate dall'enorme pesce. Un'alga più grande gli avvolse la testa e Michele si svegliò credendo di morire soffocato da quella verdura marina. La notte fuori era ancora più buia della precedente, la luna era coperta da una nuvola nera e nella camera non si vedevano che delle ombre tremolanti.
“Michele, non correre via. Ascoltami!”
Di nuovo quella voce! Michele stavolta non fece neppure in tempo a scappare via che Notturno gli si era già piazzato davanti, in piedi sul letto. Sperava così di costringerlo a parlare, ma Michele, di nuovo piangente, alzò le lenzuola in aria e Notturno volò lungo tutta la stanza, crollando contro l'armadio con un tonfo che svegliò la madre e il padre di Michele, che corsero a vedere cose stesse succedendo.
Michele, in lacrime, spaventato a morte, raccontò loro meglio che poteva la seconda visita di Notturno. Sua madre e suo padre iniziarono a preoccuparsi. Non cercarono neppure Notturno, nonostante Michele gli avesse indicato il punto esatto in cui era caduto. E in ogni caso Notturno era scomparso. La stanza era vuota e c'era solo un'ammaccatura sull'armadio, che si confondeva con le altre. Nemmeno Michele sarebbe stato capace di dire quale ammaccatura era stata provocata dalla caduta di Notturno e quali dai numerosissimi altri incidenti di gioco.
La madre e il padre di Michele, ancora insonnoliti ma preoccupati, pensarono che forse era il caso di portare Michele dal dottore e controllare che stesse bene. E così fecero l'indomani.
Il medico, un uomo grasso e con l'alito che puzzava di salsiccia, fece un sacco di domande e non fornì nessuna risposta. Michele era sano ma questi incubi, evidentemente, prendevano delle forme molto realistiche. La madre e il padre di Michele non si tranquillizzarono affatto e decisero di rivolgersi a un altro dottore.
Il secondo dottore era un giovane alto come un gigante e magro come un bambù. Il suo alito non sapeva di niente ma neppure lui sapeva di niente. Anche questo secondo dottore confermò che Michele stava più che bene e che si trattava solo di incubi. Siccome non aveva mai preso una decisione in tutta la sua carriera di medico, consigliò però una visita da un terzo dottore. Non era ancora pomeriggio e la gelateria era rimasta chiusa, i genitori di Michele si guardarono e decisero di andare anche da questo terzo medico, che era una signora molto vecchia e stava in uno studio pieno zeppo di libri e strani oggetti. Michele chiese cosa fossero e lei rispose, con una voce stridula quasi come quella di Notturno, che erano ricordi che aveva raccolto durante tutti i viaggi della sua vita. Disse poi che Michele era un bambino sano ma che doveva imparare a stare con se stesso e dare alle cose e alle persone il tempo che meritavano per capirle bene. La madre e il padre di Michele non capirono bene questo consiglio, ma dissero a Michele che anche il gelato aveva bisogno del suo tempo. Il terzo medico rispose che era proprio così, che anche il gelato voleva il tempo necessario e che così era per tutte le cose. Se Michele fosse stato forte e avesse avuto pazienza e comprensione, tutte le cose e i sogni avrebbero smesso di fargli paura.
Michele credette di aver capito piuttosto bene, ma dopo tutte quelle visite, tutti quei dottori e tutte le domande di ognuno di loro, si sentiva un po' confuso.
Quando fu il momento di andare a dormire, si mise a letto con un po' di paura, ma cercò di essere forte e di non pensare agli incubi dei giorni precedenti, né a Notturno.
La notte però arrivò tenebrosa e portò con sé un nuovo incubo: Michele non cresceva più come gli altri bambini ma solo a pezzi! E tutti sbagliati per di più! I piedi gli diventarono enormi e ci vollero nuovi medici per farli tornare normali. Poi fu la volta delle orecchie, che gli arrivarono fino alle caviglie e ci bisogno di legarle dietro la schiena. Quando cominciò a crescergli la testa, la paura lo fece svegliare. Notturno era già lì a guardarlo.
Michele stava per urlare come nelle notti precedenti, ma intuì che non sarebbe mai cambiato nulla continuando a scappare. Notturno nel frattempo continuava ad osservarlo senza nessuna espressione, come se aspettasse qualcuno ad un appuntamento. Dopo qualche secondo parlò:
“Mi hai fatto male ieri, ho ancora un bernoccolo.”
“Mi dispiace”, rispose Michele, che non aveva ancora deciso se fidarsi o meno di quello strano vecchietto.
“Non importa”, disse Notturno, sedendosi. “Basta che non scappi di nuovo via”, aggiunse.
Michele non si mosse dal letto e Notturno si sedette di fronte a lui, nello spazio lasciato libero dai piedi di Michele.
“La Notte è molto offesa con te, Michele.” La voce di Notturno inquietava ancora Michele. Dentro quella voce c'erano tutte le sue paure notturne, il buio, il suono delle cicale, quello del gufo, l'odore di freddo della notte. Non riusciva ad abituarsi. Si impegnò a non prestarle attenzione e mentre rifletteva su come fare per non avere i brividi solo a sentirla, guardò dritto negli occhi Notturno ed esclamò: “È lei che ce l'ha con me, mi porta via gli amici, fa sparire il sole, vuole farmi vivere da solo, senza mai nulla da fare. La odio!”
“Sshh, zitto. È molto suscettibile, smettila di provocarla!” Notturno lo interruppe e quasi gli saltò addosso per zittirlo.
Michele tacque, più per paura che per convinzione, ma tacque. Dopo tre giorni di tentativi, finalmente Notturno ebbe il tempo di spiegarsi.
“Io sono l'ambasciatore della Notte, mi chiamo Notturno. So chi sei, Michele, e conosco tutti quelli che per qualche motivo hanno dei problemi con la Notte. Vado a visitarli tutti e cerco di insegnargli ad amare anche la Notte.”
Notturno era molto orgoglioso di questo suo ruolo diplomatico e la sua voce si fece ancora più squillante per l'emozione.
Michele non riuscì proprio a trattenersi: “Perché hai questa voce così strana?” chiese.
“Perché è la voce di tutto quello che fa rumore nel silenzio, è la voce della notte” rispose un po' risentito Notturno, che era suscettibile quasi quanto la Notte. “E già che ci siamo, visto che sei un bambino tra i più paurosi che abbia mai visto: sono un vecchio bambino perché non ho età, proprio come la Notte. Così la smetti di osservarmi con questi occhi curiosi”.
“Scusa” disse Michele un po' lamentoso. “Non ho mai visto uno come te. Pensavo fossi cattivo.” aggiunse tirando su con il naso.
“Non tutto quello che è strano è cattivo. Anche tu, con quel naso colante non sei mica così bello, sai?” lo prese in giro Notturno.
Michele si asciugò con la manica del pigiama e non disse nulla. Non sapeva proprio come comportarsi. Non capiva come Notturno potesse aiutarlo, anzi, non capiva proprio un bel niente. Aveva solo voglia che gli incubi smettessero. D'improvviso, Notturno, esclamò: ecco una mia amica molto strana ma per niente cattiva e dalla finestra entrò un'enorme civetta con gli occhi rossi e un altrettanto enorme sacco legato alla schiena, come uno zaino. Michele era spaventatissimo, ma non disse una parola e si limitò a scivolare un po' di più sotto le lenzuola.
“Lei si chiama Carlotta, è una civetta intelligentissima, la più intelligente tra le civette. E per questo le abbiamo chiesto di organizzare tutti i suoni e i rumori della notte. Li porta nel suo sacco. Lo so che ti stai chiedendo perché ha gli occhi così rossi. Beh, prova tu a stare sveglio tutte le notti e vedrai se ti diventano gli occhi rossi, caro il mio bambino fifone”.
Michele era ammutolito, ma non più spaventato, la curiosità iniziava a prendere il sopravvento sulla paura.
“Che rumore della notte ti piacerebbe sentire?” gli chiese Notturno.
“Io ho molto da fare, Notturno, non posso stare qui a perdere tempo” disse la civetta frenando l'entusiasmo di Notturno.
“Su, su, ci metteremo solo un minuto.” disse Notturno, che non vedeva l'ora di stupire Michele. “Fagli ascoltare una tempesta di vento invernale.” chiese divertito alla civetta.
“Solo un minuto” rispose la civetta con aria di grande superiorità. Battendo poco le ali, prese dal sacco un fischietto bianco come la neve, lo ingoiò e poi soffiò con quanto fiato aveva in gola. La tempesta entrò nella stanza di Michele come un tornado. D'un tratto, sembrava di essere in montagna. Il fischio del vento era incredibile e non si udiva più la voce di Notturno che chiedeva alla civetta di smettere.
“Basta, basta. Grazie.” riuscì finalmente a dire.
“E che rumore della notte ti piacerebbe imparare a fare? La nostra amica civetta sarà senz'altro così gentile da regalarti un fischietto.” Notturno si stava divertendo moltissimo. E anche Michele era già pentito di non aver conosciuto prima quel vecchio bambino.
“Mi piacerebbe saper fare il verso dei grilli” rispose allegro, con ancora nelle orecchie il rumore del vento invernale.
“Questi fischietti mi costano impegno, non andrebbero sprecati così. Lo sai quanto lavoro ci vuole. Non possiamo regalarne uno a ogni bambino fifone di questa terra, Notturno”.
“Oh, non essere sempre così seria” rispose Notturno euforico di quella visita che procedeva per il meglio e ridendo piano, con la sua vocina stridula, strappò una piuma dal sedere della civetta.
“Ouch!” urlò lei. “Insomma, anche le mani addosso, ora?” esclamò. “Basta, è ora che vada, ho da lavorare. Perdinotte!” e lanciando un fischietto verdastro, volò via, risentita, dalla finestra da cui era entrata.
“È sempre così seriosa. Fa il suo lavoro come nessun altro saprebbe, ma si prende così tanto sul serio. A volte è un po' noiosa.” disse Notturno raccogliendo il fischietto che era finito sotto il letto.
Michele lo ingoiò subito per provarlo. Era difficile da mandare giù ma aveva un buon sapore di rugiada. Soffiò forte e centinaia di grilli risuonarono nella sua stanza.
Quella notte, lui e il suo nuovo amico Notturno si divertirono a fare nuove conoscenze, tra cui un pipistrello che aveva il compito di controllare tutte le caverne e verificarne la corretta umidità e il numero di stalattiti, un mostro con mille occhi, per la verità un po' puzzolente, una talpa pignola, un mostro degli abissi, capace di fare i migliori castelli di sabbia sottomarini e poi animali notturni e piante carnivore chiacchierone, alieni. Michele non aveva mai conosciuto tanta gente tutta insieme.
L'alba lo sorprese che chiacchierava amabilmente con Notturno e con un orsacchiotto di peluche a cui mancava il braccio sinistro e con due buchi nella pancia, che aveva il compito di raccogliere tutti i giochi perduti, rimetterli in sesto e fare in modo che venissero trovati da altri bambini.
Al sorgere del sole, Notturno andò via. Michele soffiò l'ultima volta per ascoltare i grilli e si addormentò. Poco dopo, la madre cercò di svegliarlo, ma non fu possibile farlo alzare. Dormì ancora qualche ora, sognando di mostri che volavano nella notte e di una strega che portava in giro mille oggetti strani e che somigliava molto alla dottoressa che aveva visto quel pomeriggio.
Nel piccolo paese tutti continuarono ad andare in vacanza e Michele, crescendo, fece amicizia con parecchi altri bambini. Qualche volta fu ancora dispiaciuto quando andarono via, ma imparò a conoscere altri amici, anche d'inverno, scoprì che c'erano molti modi per stare bene, che nel piccolo paese c'erano altri bambini che restavano lì durante l'inverno e quando diventò più grande viaggiò molto, andando a trovare amici e amiche di mille posti diversi nel mondo. Lasciarli diventò solo un'occasione per dirsi arrivederci e tornare a vedersi la prossima volta.
Notturno visitò altri bambini paurosi e un paio di volte incrociò lungo la sua strada Michele, che ormai non aveva più paura del buio, né della sua voce stridula ed era diventato un ragazzo e poi un uomo un po' strano anche lui, che amava viaggiare sopra ogni cosa, ma felice di conoscere le persone, più o meno strane come lui e come Notturno e gli ospiti di quella notte.

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