25 aprile



C'era molto vento, così per un momento abbiamo pensato di restare a casa, nostro figlio ha poco più di un anno ed era già raffreddato, ci si è sembrato responsabile chiedercelo e ne abbiamo parlato. Ma non si può restare a casa il 25 aprile e appena dopo colazione siamo partiti. Ci dispiaceva non partecipare al corteo o non andare nei soliti posti, non per abitudinarietà ma perché lì avremmo trovato altri compagni e compagne. 
Qualche giorno prima ci si era accordati con altre tre coppie di amici, tutte con figli piccoli, per andare a festeggiare la liberazione in un agriturismo gestito da compagni, subito fuori Novi Ligure. Viaggio breve, si poteva stare all'aperto, gli animali da cortile lì sgambettano liberi e per i bambini è facile entrarci in contatto. Le manifestazioni sono un’altra cosa, ma cresceranno i bambini, le vivranno e sarà emozionante anche per loro. Già il prossimo anno ci si potrà pensare, vedremo. 
Le raffiche di vento erano davvero forti e ci hanno costretto a pranzare dentro. Fuori, nuvole fatte di terra e piume di galline si alzavano e precipitavano al suolo per sollevarsi di nuovo. Nel grande salone, i bambini però hanno potuto aggirarsi curiosi e liberi tra i tavoli perché tutti festeggiavano il 25 aprile, e non si impedisce a bambini di un anno o poco più di curiosare e in fondo di dare anche un po’ fastidio. Tra compagni e compagne il 25 aprile ci si sente tutti più aperti e disponibili. In un'altra giornata ci si sarebbe sentiti più clienti e forse qualcuno avrebbe protestato, ma in un’altra giornata noi non avremmo permesso ai nostri figli di andare a disturbare la gente che mangia. 
Come mi succede spesso ho mangiato troppo e mi sono sentito male. Anche gli altri hanno mangiato tanto, ma nessun’altro è dovuto correre in bagno a liberarsi. C’era un solo bagno e una signora ha dovuto aspettarmi per qualche minuto. Nonostante il 25 aprile mi è sembrata infastidita, sono tornato nel grande salone del pranzo imbarazzato ma non avrei proprio potuto metterci meno tempo. 




Saremmo dovuti ripartire verso le quattro o le cinque al massimo, ma si stava bene nonostante il vento non si sia placato neppure per un istante, così siamo rimasti lì fino quasi alle otto di sera. L’ospitalità era così autentica che andare via non faceva pensare al ritorno a casa ma alla partenza. I bambini a sera, dopo aver giocato sul prato, rincorso le galline, litigato e fatto la pace, riso e osservato la sera che scendeva sulla campagna, erano distrutti. Ci siamo salutati e appena saliti in macchina, nostro figlio si è addormentato, non abbiamo fatto nemmeno in tempo a mettere in moto. Casa Cervi, con la musica e tutta la gente, è sembrata lontana. Siamo ripartiti felici e sazi di una bella giornata. 
Abbiamo attraversato Novi Ligure in cerca dell’imbocco dell’autostrada per Genova. Io non sono molto bravo con le strade e guidavo piano, facendo attenzione a tutte le indicazioni. Prima di poter prendere la Serravalle ci ha circondato un’altra campagna, meno boschiva di quella da cui eravamo partiti poco prima. Campi coltivati su campi coltivati, a perdita d’occhio. Lungo una delle stradine non più larghe di un metro e mezzo che ci sono sempre ai margini dei campi camminava lento un piccolo gruppo di africani. Saranno stati sette o otto. Dai passi pesanti si capiva che non avevano festeggiato perché quelli sono i passi della fine del lavoro. Prima o poi capita di vederli e quando li si ritrova si riconoscono subito, non si sbaglia. In macchina abbiamo pensato senza dircelo: chissà quanta strada devono fare ancora, quanta ne hanno già percorsa, sempre a piedi. E quale baracca li aspetta. Ho guardato la strada perché c’erano un paio di curve. Ho riportato l’attenzione alla mia destra, alla stradina dove camminavano i lavoratori dei campi e si erano fatti più piccoli, c’eravamo allontanati troppo. Ma il ritmo dei passi si era inserito nel ritmo dei chilometri macinati dalla macchina. 
Il giorno seguente non avrei lavorato perché quest’anno il 25 aprile è capitato di giovedì e in tante aziende, specie quelle più grandi, si fa ponte. Questo significa che l’azienda “ruba” giorni di ferie liberi, ce n’è uno in meno di cui disporre autonomamente, ma in fondo fa piacere stare a casa e nessuno si lamenta. La giornata fuori aveva stancato anche me, non come un bambino ma avevo addosso il sudore di tante ore all'aperto. Però avevo voglia di tirare tardi, di vedere un film, una cosa non troppo impegnativa ma nemmeno stupida. 




Ho chiesto alla mia compagna se avesse visto gli africani tornare dal lavoro. Sì, li aveva visti. Ci eravamo accorti di averli visti entrambi ma non avevamo voglia di parlarne. Le ho chiesto allora se aveva voglia di fare tardi con me e vedere un film ma mi ha risposto che voleva fare una doccia e che era stanca. In mezz'ora saremmo stati a casa. Alla fine abbiamo fatto la doccia, io subito dopo di lei. Con il pigiama non avevo più voglia di vedere un film, mi dà la sensazione di essere malato fare delle cose in pigiama, anche solo vedere un film.

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