SPUTNIK

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L’ultima navicella della giornata sputava fuoco e lapilli. Marta e Giacomo erano lontani dalla pista di decollo ma avevano la sensazione del calore prodotto dal vettore.

Delle lacrime scendevano lungo i volti di entrambi, mentre osservavano quella partenza da una distanza ben più grande di quella a cui si erano abituati nell'ultimo anno.



I Cittadini Salvadanai erano partiti per primi, su navicelle extra-riposo, con lettini a idratazione magnetica e sale bingo con puntatori automatici per il divertimento serale. Dopo di loro, i Cittadini Produttori avevano viaggiato su comodi spazio-bus, pratici e confortevoli. Marta aveva lavorato alla fabbricazione di uno dei tanti spazio-bus, ne aveva disegnato i fregi esterni, fondendo i metalli rimasti in circolazione e formando dei riccioli simmetrici che qualche altro Addetto alle occasioni saltuarie di impiego volontario aveva poi provveduto a saldare lungo le fiancate degli spazio-bus. Un lavoro duro, ma era giovane e aveva voglia di lavorare. Erano molti i ragazzi e le ragazze a fondere metalli e costruire fregi insieme a lei e questo rendeva il lavoro più piacevole. Più avanti avrebbe trovato un lavoro meno pesante, pensava. Si inizia tutti così, dal basso.
Sul momento non aveva considerato che quei metalli sarebbero potuti essere utili a costruire mezzi di trasporto spaziali per chi non aveva trovato posto sugli spazio-bus. Tutti sapevano che di metallo ne era rimasto molto poco, ma tranne pochi sbandati, provocatori, sovversivi, gente che viveva di espedienti, tutti dicevano: be’, se li usano per le decorazioni avranno delle scorte. Non lasceranno mica qui la gente! Non dev'essere così poco, in fondo.
Non c'era nessun piano per il trasporto dei Cittadini Non Produttori, o Fuoriusciti, come dicevano i più scortesi. Gli spazio-bus erano partiti tutti. Sparso qui e là si trovava ancora del metallo, per lo più consistente in scarti di produzione delle navicelle extra-riposo, degli spazio-bus o di oggetti precedenti all'organizzazione della Partenza Generale, ma era abbandonato, così come erano stati abbandonati loro.

I portanotizie portatili non avevano detto nulla, tutto era stato fatto in gran segreto e partito l’ultimo spazio-bus smisero semplicemente di far uscire le notizie. Niente più portanotizie, niente più notizie, niente più contatto. Chi era partito aveva tagliato i ponti con chi era rimasto a terra.

I primi giorni furono di enorme shock e in parecchi si tolsero la vita o stuprarono, saccheggiarono, si vendicarono di torti veri o presunti. Le città diventarono troppo pericolose per abitarle e la maggioranza degli uomini e delle donne rimasti a terra, molti più di quelli che tutti si sarebbero aspettati di vedere, presero la strada delle campagne e dei campi. In città ci si andava solo in piccoli gruppi armati. Ci furono morti orribili a centinaia, e tutte inutili. Le città divennero dei deserti di malattia, ma con l’aumentare dei morti la violenza diminuì fatalmente. Ad abitare le città e a renderle pericolose restarono solo le Guardie Decorose rimaste a terra. Molte di loro non erano volute partire, per spirito di corpo, si disse. I Cittadini Produttori, che le avevano pagate fin dalla loro istituzione, non insistettero per portarle con loro, questo si venne a sapere nelle settimane successive, e i Cittadini Salvadanai avevano le loro Guardie Familiari a proteggerli. Senza l’Organizzazione, le Guardie Decorose si abbandonarono a brutalità senza precedenti. Si erano stabilite nei palazzi più ricchi dei Cittadini Salvadanai aspettando di morire per malattia, come tutti quelli che non erano partiti, e passavano il tempo a inventare violenze creative. Ridevano di continuo e poi d’improvviso diventavano serie e minacciose. I racconti su di loro erano terribili e chi aveva assistito alle loro torture non riusciva a riprendersi più. Di sopravvissuti alle loro attenzioni non se ne vedevano quasi mai. Marta fu fortunata a sfuggire a un gruppo di quattro Guardie e con le poche cose che aveva scappò subito in campagna, correndo e poi camminando quando non riuscì più a correre, per tutta una notte.

Tra chi non era riuscito a partire, fortunatamente c’erano degli ingegneri e si riuscì a scovare anche dei piani di costruzione di vecchi razzi di secoli prima, ancora con motori a propulsione. Ma tutto poteva andare bene, pur di andare via. 
Chi poté costruì in fretta navicelle malconce, razzi sbilenchi e partì in piccoli gruppi.

Marta incontrò Giacomo cercando di infilarsi in uno di questi gruppi. Lui stava provando a fare lo stesso. Per tutta la sua breve esistenza era stato impiegato come uno degli ultimi contadini, perché suo padre era un contadino e suo nonno era un contadino e prima di suo nonno nessuno lo sapeva, ma probabilmente avevano fatto i contadini. Non aveva mai abitato in città e grazie a questo era piuttosto in salute, per essere un uomo. Ma di meccanica e di razzi non capiva niente, non era utile a nessuno e nessuno lo voleva nel gruppo di cui faceva parte. Era spacciato, tanto quanto lei. Per qualche motivo si trovarono bene insieme e iniziarono a viaggiare in coppia. Era più comodo e sicuro che farlo da soli.
Nessuno era più disponibile ad accogliere o aiutare nessun altro ormai da decenni. Non era una cosa che si chiedeva, e se Marta o Giacomo fossero stati capaci di usare delle parole per chiedere aiuto nessuno le avrebbe comprese. Senza Organizzazione ognuno faceva per sé. Chi non era riuscito a partire cercava di intrufolarsi in gruppi già costituiti semplicemente arrivando e stazionando lì. A volte, se i gruppi erano numerosi e chi notava i nuovi arrivi non diceva nulla, ci si poteva fermare, cercando di non dare nell’occhio. Con il passare dei giorni era come se si fosse stati in quel gruppo da sempre. Non c'era altro modo.

Ma tra i rimasti - ormai tra loro si chiamavano così e si incontravano sempre più spesso a vagare per i campi e le pianure - si vociferava di gruppi aperti ai nuovi, cioè di gruppi che stavano aspettando altri rimasti per partire con loro. Marta non ci credeva per niente e avrebbe volentieri aspettato in una casa in qualche piccolo paese, prendendo quel che era rimasto nei negozi, nelle case. Ci si poteva vivere bene per tanto. Sarebbero morti, ma aspettando comodamente. Giacomo però insisteva ogni giorno. Se tutti ne parlavano qualcosa di vero doveva esserci, diceva. Marta era stanca, ma lo seguì perché di aspettare da sola non ne aveva voglia, né coraggio. Una cosa era aspettare in coppia, facendo finta di essere Cittadini Produttori, diverso era aspettare sola, come una pazza. Nei paesi non c’erano Guardie Decorose ma di tanto in tanto qualcuna di loro si avventurava fuori dalle città. Incontrarle una volta le era bastato per sempre.
Continuarono a cercare. Attraversarono paesi tutti simili e tutti quasi vuoti, incontrarono molti altri rimasti, la maggior parte dei quali rassegnata al peggio e che stava consumando il cibo e l’acqua di cui riusciva a disporre. Una sera incontrarono una famiglia numerosa che fece finta di conoscerli, cioè che non disse niente quando li vide arrivare. Marta e Giacomo non sfidarono la fortuna e non provarono nemmeno a entrare in casa, ma sedettero con la famiglia all'aperto e mangiarono con loro. Fu acceso un fuoco e uno dei figli suonò con una chitarra elettrica a batteria alcune vecchie canzoni per quasi tutta la notte. Marta avrebbe voluto ballare ma nessuno lo faceva. Il capofamiglia fumava sigarette prese chissà dove e sembrò che nulla fosse mai accaduto. Giacomo bevve qualche bicchiere dopo settimane e si addormentò con il fuoco ancora acceso. Marta restò con lui per non abbandonarlo, capì che la famiglia acconsentiva a farli dormire lì all'aperto e si addormentò anche lei. Non faceva più molto freddo e avevano delle coperte rubate da una casa molte settimane prima. La mattina seguente, prima che facesse l’alba, ripartirono nella stessa direzione, quindi verso nessun posto.

In giro tra chi vagabondava cercando di sopravvivere, tra i gruppi e le famiglie in cammino lungo le campagne non si raccontava il falso. I gruppi di accoglienza dei rimasti esistevano e ne incontrarono uno, numerosissimo. Mai vista tanta gente tutta insieme. Solo in qualche vecchia realtà ritagliata, in bianco e nero e con gli angoli del ritaglio mangiati dalla polvere e dagli insetti. Giacomo ne aveva viste parecchie durante un'esposizione, quando ancora se ne facevano di pubbliche, aperte anche ai Fuoriusciti, e ne parlò a Marta, che era spaventata da quell'ammasso umano e sarebbe scappata. Centinaia, forse migliaia di persone. Restarono a bocca aperta così a lungo da rendersene conto e vergognarsene. 
Li accolsero senza troppi fronzoli - il tempo stringeva - ma gentilmente. Fu offerto loro un vecchio letto di produzione di coppia - a nessuno venne in mente che potessero non essere sposati - e del cibo ogni giorno. Giacomo chiese a Marta da quale lato del letto preferisse dormire, si sistemò sul lato opposto e durante le notti che seguirono non toccò la sua compagna di viaggio neppure con un dito del piede. 

La costruzione di mezzi spaziali di risulta proseguiva senza soste e i rimasti partivano appena possibile, anche con più viaggi a settimana. Precedenza era data ai bambini e alle loro famiglie. 
Marta e Giacomo furono coinvolti, praticamente a forza, nelle decisioni parlate. Si sentirono molto a disagio. Il gruppo di accoglienza dei rimasti aveva però questa unica regola: chi voleva restare doveva partecipare alle decisioni parlate e alle attività che lì si sarebbero predisposte. Dopo qualche giorno di incontrollabile imbarazzo cominciarono a prenderci gusto; soprattutto Marta si rivelò un abilissima parlantina, migliore di tanti parlantini uomini più preparati di lei. A tutti parve che avesse una dote naturale e acquistò grande rispetto nel gruppo. Fu lei a proporre l’abolizione delle maiuscole, tranne che per la definizione dei nomi propri. Spiegò a tutti la sua visione, di come le maiuscole creassero distanze e privilegi e le maiuscole nel gruppo furono abolite durante una memorabile decisione parlata.
Il gruppo cresceva ogni giorno. rimasti arrivavano a centinaia, di continuo. Solo la grande abitudine all'ordine e la straordinaria disponibilità di tutti rese possibile la sopravvivenza di un gruppo così numeroso, come non s’era mai visto a memoria di anziano.

Ormai c’erano decisioni parlate tutti i giorni, su tutto. Non partecipavano più tutti i membri ad ogni sessione, molti erano impegnati nella costruzione dei mezzi spaziali e sempre più spesso c’erano decisioni parlate molto tecniche a cui partecipavano solo i membri in grado di fornire un contributo. Ma ogni aspetto della vita del gruppo era discusso in vista della società che sarebbe nata dilà, il nome scelto per il pianeta verso cui erano diretti. dilà scritto in minuscolo, come era stato deciso durante una decisione parlata di festa, l’unica organizzata, durata tutta la notte e dedicata alla nascita ideale di dilà. Marta ballò con molti uomini quella notte, come tutte le altre donne e gli altri uomini. Quando capitò che ballasse con Giacomo, lui la baciò e lei ne fu felice. Era passata l’alba quando andarono a dormire qualche ora ed erano troppo stanchi per fare l’amore, ma finalmente occuparono il centro del letto e non più solo le estremità.

Le partenze ormai si rincorrevano ogni giorno. Si era riusciti a costruire, con immani sforzi collettivi, cinque rampe di decollo, in grado di far partire i razzi a distanza di poche ore l’uno dall'altro. Anche la capienza dei razzi era aumentata. I primi potevano ospitare al massimo due famiglie, gli ultimi arrivavano a trasportare fino a cinquanta persone, quasi quelle di uno spazio-bus. Non c’erano fregi di metallo, ma i bambini e gli artisti presenti nel gruppo dopo un po’ iniziarono a decorare i mezzi spaziali con la pittura rubata nelle città. Un artista particolarmente coraggioso arrivò a rubare a delle Guardie Decorose una scorta di vernice dorata, usata per chissà quale idea malsana, e i bambini e i ragazzi ne furono entusiasti.
Si iniziò a dare i nomi ai razzi e si chiamavano arrivo, apriteci, cucù, welcome, chi è?, perché c’era aria di festa e si davano nomi stupidi alle cose.

C’era così tanto da fare e alla sera si era così stanchi, e Marta e Giacomo erano così poco abituati all'amore, e così giovani, che non trovarono il modo di comunicarsi il comune desiderio di fare sesso insieme. Ma dormivano insieme e si accarezzavano ogni sera e ogni mattina. La fretta di partire, di costruire razzi, di organizzare la società di dilà prendeva tutto il tempo disponibile. Tutti avrebbero avuto moltissimo tempo per l’amore a dilà.

Arrivarono le malattie, di tempo ne era passato tanto e anche se nessuno ne parlava, tutti impegnati a costruire il futuro e i mezzi per arrivarci, tutti sapevano che prima o poi sarebbero arrivate, si partiva per quello. Quasi l’intero corpo medico era stato precettato dai Cittadini Salvadanaio e dai Cittadini Produttori e partì con loro. Quando  al gruppo di accoglienza si ammalarono i primi uomini e le prime donne, non ci fu la prontezza di pensare che le malattie potessero essere contagiose.
I nomi dei razzi cominciarono a essere meno giocosi, ma le decisioni parlate continuarono, anche con chi era contagioso. Fu subito chiaro che l’unico modo per evitare il contagio era uccidere i malati e la decisione parlata in cui fu deciso di non uccidere nessuno fu un lago di lacrime. Si decise però che i malati non sarebbero partiti. Ogni partente sarebbe stato visitato nei giorni precedenti alla partenza e poi un’ultima volta subito prima di salire a bordo. Per chi fosse rimasto si cercò di organizzare una morte il più possibile dolce. Furono rubati farmaci, droghe e alcool di ogni tipo. Non si riuscì ad allestire un ospedale, ma i malati furono sistemati nel modo più confortevole che si poté organizzare.
Ci furono i primi morti e stavolta la decisione parlata per stabilire cosa fare dei cadaveri fu tecnica e brusca, senza spazio per i sentimentalismi. Per cercare di salvare dal contagio quante più persone possibile si decise di portare i cadaveri nelle città e di bruciarli lì. Che morissero le Guardie. Si ricrearono i gruppi armati, ma ormai anche le Guardie stavano morendo e di scontri ce ne furono pochi.

Una notte Marta fu sconvolta da una sete mai provata prima e capì che era toccato anche a lei. Maledisse il mondo, i Cittadini, le loro navi, l’intero universo. Dopo pochi giorni anche Giacomo si ammalò. Erano giovani, prima di allora erano stati in salute e potevano sperare di vivere ancora molti mesi, ma con il cappio intorno al collo.
Giacomo non smise di ubriacarsi per quasi una settimana. Prima delle malattie un atteggiamento del genere non sarebbe stato tollerato, ma soprattutto dopo i primi morti si concedeva ai malati di fare quello che volevano, purché non ostacolassero il lavoro e le partenze. Una sera Giacomo vomitò per quasi due ore e anche se provato dall'alcool e dal dolore, si accorse di Marta che continuava a lavorare e a partecipare alle decisioni parlate in cui poteva essere utile. La mattina seguente ricominciò a lavorare anche lui e Marta fu felice di aver ritrovato il suo compagno di viaggio. L’idea di essere sola l’aveva fatta sentire in qualche modo già morta.

Ritrovarsi malati comportava delle differenze anche nel rapporto tra Giacomo e Marta. A volte tutto sembrava essere come prima, in altri momenti c’era come un imbarazzo che rendeva le conversazioni e lo stare insieme complicati, pieni di vuoti. Da qualche giorno erano al lavoro al piano di organizzazione per la partenza di tre famiglie numerose, con bambini piccoli, e c’era da pianificare un viaggio spaziale lento, sopportabile per i bambini. Giacomo le chiese se non avesse voglia di andare in un paese e aspettare in una casa, facendo finta di essere una coppia di Cittadini, come lei aveva detto prima di entrare nel gruppo di accoglienza. Marta rispose di no, che preferiva restare lì a dare una mano, e non ne parlarono più.

Al gruppo arrivavano nuovi rimasti, ma ormai le partenze erano pianificate a un ritmo molto serrato e soprattutto le malattie avevano sterminato gran parte della popolazione. I rimasti che arrivavano erano quasi tutti già malati. La speranza di trovare la salvezza si infrangeva disperata e bisognava controllare che i malati non salissero di nascosto sui razzi. Qualcuno propose di ripristinare le guardie durante una decisione parlata violentissima, come non se n’erano mai viste nel gruppo di accoglienza, ma si riuscì ad evitarlo. Tuttavia bisognava controllare e soprattutto convincere i malati che non si poteva compromettere la nuova società e che questo era stato discusso e accettato prima che arrivassero loro. Dopo le partenze divenne il lavoro più importante. Si decise che a farlo fossero i malati che avessero partecipato alle decisioni parlate riguardanti le malattie. Giacomo e Marta si dedicarono a questo completamente e Giacomo si dimostrò molto comprensivo con tutti. Dove non arrivava come parlantino, cioè quasi da nessuna parte, riusciva a giungere con i comportamenti di accoglienza e con una conoscenza sempre più approfondita dei pochi farmaci a disposizione del gruppo. Somministrava spesso personalmente antidolorifici o droghe ai malati più gravi e spiegava a quelli meno gravi cosa fare quando si sarebbero ammalati più gravemente. Marta dirigeva le decisioni parlate sulle malattie con tutti i nuovi arrivi e gradualmente le trasformò in luoghi d’appoggio emotivo, dove non si decideva proprio niente ma si stava insieme a parlare.

Era passato poco più di un anno da quando si erano incontrati ed erano entrambi tra i malati più longevi, per una serie di circostanze fortunate e perché avevano iniziato a curarsi fin dal primo momento. Questo aveva rallentato la fine di qualche mese. Tutti e due sapevano però che restava loro qualche settimana, non di più.
Giacomo aveva istruito alcuni malati giovani, che sarebbero vissuti ancora a lungo, e aveva già passato loro la maggior parte del lavoro. Organizzò una decisione parlata, la prima richiesta espressamente da lui. Propose, sforzandosi di essere chiaro e aiutandosi con degli appunti, di permettere ai malati prossimi alla fine di essere esonerati da ogni attività e di potersi ritirare a morire nel modo che ognuno avesse preferito per sé. La decisione parlata durò molto poco e la proposta fu accettata. Subito dopo Marta chiese a Giacomo ancora una settimana per concludere il lavoro in modo che potesse proseguire senza di lei e Giacomo disse che l’avrebbe aspettata.
Individuarono una cascina abbandonata, ancora con tutti gli attrezzi, portarono acqua e viveri e una mattina partirono, dopo aver salutato tutti quelli gli riuscì di salutare. Il gruppo di accoglienza era arrivato a comprendere migliaia di persone, ma Marta e Giacomo si erano fatti benvolere da molti e Marta aveva raggiunto una certa notorietà. L’addio fu veloce ma non semplice.

Salirono su una collina, discesa la quale si arrivava infine alla cascina. Dalla cima della collina aspettarono di vedere la partenza dell’ultimo razzo che avevano contribuito a preparare e piansero entrambi. Dopo essersi asciugato le lacrime, Giacomo non trovò un altro momento per toccare il culo di Marta per la prima volta. In quegli ultimi giorni che restavano loro, quel parlantino scadente stava cercando di dire che avrebbe voluto fare l’amore, pensò Marta. Avrebbe preferito farlo quando erano felici, quando dilà era una promessa, ma lo baciò lo stesso e lo abbracciò e sedendosi sulla terra incolta lo tirò giù a sé.

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